“Che importa. Farò un bove!”. Così, all’età di quattro anni, il bambino Henri de Toulouse- Lautrec, che non sapeva ancora scrivere, chiese ai suoi genitori di poter lasciare, anch’egli, la propria “firma” nel registro degli invitati al battesimo di un fratellino. Prima espressione, forse, di quella propensione, già in nuce, di essere, con il disegno, testimone del proprio presente.
Quel disegno che tanta parte avrebbe avuto, poi, nella produzione artistica della sua brevissima
esistenza.
Intensa fu, infatti, la sua attività di illustratore di libri, giornali e riviste, così come quella di grafico pubblicitario per la realizzazione di manifesti e cartelloni teatrali, nuovo veicolo comunicativo di cui si avvalse il gusto nuovo a cavallo dei due secoli, quell’Art Nouveau che fu ponte di raccordo tra decorazione e produzione industriale.
Sono cronaca illustrata, fotografie disegnate di guizzi di vita fermati in un’istantanea quelle affiche giunte sino a noi. Per raccontare, con tratto sicuro e svelto, lo spettacolo di vita di quello scorcio di tempo. Di quella Belle Époque.
Fu il celebre manifesto del Moulin Rouge (1891) a sancire l’esordio di Lautrec nella litografia, tecnica giovane in cui l’artista si lancia con passione sperimentando sempre nuove soluzioni.
Come il crachis, di sua invenzione: colore schizzato sulla pietra con l’ausilio di spazzolini per conferire, alle opere finali, effetti pittorici insoliti. È una testimonianza lucida, priva di compiacimento ornamentale, quella con cui l’artista seppe trascrivere, nel suo disegno dal contorno spigoloso e sintetico, vicino al cloisonnisme di Gauguin, lo spirito del tempo. Colto in teatri e café-chantants, circhi e maisons closes, e reso per sintesi di tipi umani scrutati nell’essenza da un’osservazione acuta e che, purtuttavia, non giudica. Ma rappresenta in modo schietto e senza turbamento. Protagonisti i corpi, attraverso la posa e la gestualità. Ma anche i caratteri, individuati da brevi accenni caricaturali. Di cantanti, attrici, pagliacce, acrobati o ballerine fermati, in un’istantanea, nei loro atteggiamenti più tipici. Una ricerca, oltre la forma, più a fondo, dell’umana essenza. Travalicando la maschera del trucco o dell’acconciatura; bucando il fragore o il tramestio di fondo. Per arrivare in quella quieta permanenza in cui ciascuno è solo nella folla. Libero da pesi di appartenenza. A corpi non conformi o a status elevati.
Claudio Parisi Presicce
Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali
Al Museo dell’Ara Pacis di Roma, fino all’8 maggio 2016, una spettacolare mostra con circa 170 del grande artista francese.